“I held the blade in trembling hands
Prepared to make it but just then the phone rang
I never had the nerve to make the final cut.”
Oggi ascoltiamo The Final Cut, la fine della discografia dei Pink Floyd che tutti conoscono.
L’ultimo album del gruppo con Roger Waters è anche il suo primo album solista.
Le due cose coincidono benissimo.
Da Wish You Were Here in poi il leader del gruppo era lui e lo era ogni anno di più.
In Animals crea il loro simbolo, è la mente dell’intero album ma il contributo di David Gilmour e Richard Wright si sente ancora splendidamente.
Scrivevano ancora canzoni assieme.
The Wall è suo per tre quarti, perché solo in quattro brani c’è il nome di uno dei compagni come autore.
Poi verrà il sogno di The Pros And Cons Of Hitch Hiking, un lavoro solitario ma che nasce assieme e dentro questi album.
Nel frattempo la formazione dei Pink Floyd contava tre componenti perché Wright era già fuori dai giochi, licenziato da Waters per varie incomprensioni, per un ritardo durante le registrazioni, per la sua dipendenza da droghe (sempre smentita da Rick).
Per tanti motivi e mai abbastanza da farlo diventare un turnista.
Comunque, licenziato. Licenziato.
Lui e il bassista dei Pink Floyd pochi anni prima avevano scritto Us And Them assieme, uno dei momenti più belli della loro storia per ammissione dello stesso Waters.
Un componente di uno dei gruppi rock più famosi può arrivare a cacciare un compagno e uno dei principali artefici del loro successo? Poteva farlo?
Perché quello era stato Richard Wright, uno dei principali artefici se non il principale come azzardano in molti.
No tastiere e sintetizzatori = No Pink Floyd Sound. Mi spiace per te, Roger.
Comunque sì, poteva, perché Roger Waters non era un semplice leader.
Era il capo.
The Final Cut è completamente suo, non per metà e neanche per tre quarti.
Farà tutto lui: testi, musiche, arrangiamenti, concetto, produzione e cover.
Com’è scritto sul retro della copertina, The Final Cut è un disco “di Roger Waters suonato dai Pink Floyd”.
É un po’ la fine della loro discografia, è tante cose diverse in 12 brani dal punto di vista di Roger Waters.
E parla di almeno tre cose nello stesso tempo, ma soprattutto di guerra.
La Copertina di The Final Cut
Anche la copertina parla di guerra.
Storm Thorgerson, artista della Hipgnosis e disegnatore delle copertine dei Pink Floyd, non lavorava con la band da poco prima di The Wall.
Strano ma vero, lui e Roger Waters avevano litigato.
Waters che litiga con qualcuno e lo allontana. Molto strano.
Roger Waters realizza la copertina di The Final Cut da solo, usando alcune fotografie scattate dal fratello John.
La versione in vinile non ha il titolo dell’album sulla copertina, sarà aggiunto più tardi con il CD.
La cover era dunque un quadrato nero con alcuni rettangoli a strisce e nessuna scritta. Forse è una delle immagini di copertina più strane e anonime della discografia dei Pink Floyd.
Non l’unica enigmatica. Tutte le loro copertine lo sono in qualche misura.
Fronte Copertina
In alto a sinistra spunta un dettaglio del Remembrance Poppy, il papavero usato dai paesi dell’Impero Britannico per ricordare i caduti della Prima e Seconda Guerra Mondiale.
Sotto, altre quattro decorazioni a strisce sono fissate sul tessuto nero di una divisa militare.
Sopra, in blu e bianco c’è la Distinguished Flying Cross, assegnata agli ufficiali della Royal Air Force per atti eroici durante il volo.
1939-1945 Star: per aver prestato almeno 6 mesi di servizio durante la Seconda Guerra Mondiale.
The Africa Star: per aver combattuto nella campagna nordafricana tra il ’40 e il ’43
Defence Medal: 3 anni di servizio nelle truppe inglesi.
Non è chiaro se il papà di Roger aveva tutte queste decorazioni, ma sicuramente gli era stato conferito il Remembrance Poppy, la ’39-’45 Star e la Defence Medal.
The Final Cut parla è soprattutto un album contro la guerra. Un grido rabbioso, doloroso e paranoico che Roger Waters dedica a suo papà.
1. La Guerra: dedicato al padre di Roger Waters
Eric Fletcher Waters era un inflessibile maestro delle elementari prima di arruolarsi nei Royal Fusiliers dell’esercito britannico a Londra.
All’inizio era anche un pacifista, così come lo sarà suo figlio Roger dagli zero ai 74 anni di oggi.
Eric cresce con una rigida disciplina cattolica e sarà esonerato dal servizio militare come obiettore di coscienza, ma passano gli anni e le cose cambiano.
Le riflessioni su cosa stava accadendo in Europa gli fanno capire che combattere era l’unico modo per difendere i propri ideali di libertà nei confronti del nazifascismo. Per questo si arruola volontario.
Eric Fletcher Waters muore ad Aprilia il 18 febbraio 1944, mentre combatte per la liberazione di Roma contro i tedeschi durante lo Sbarco di Anzio.
Aveva 30 anni o poco più, suo figlio Roger appena 5 mesi.
Il suo corpo non è mai stato ritrovato e ciò non ha aiutato Roger Waters a convivere accettando la mancanza della figura paterna. Sapeva solo dove suo padre era morto ma nulla più.
In un’intervista, ricorderà che
“…a scuola vedevo uomini in uniforme che venivano a prendere gli altri bambini. Erano i papà, il mio non c’era mai.”
All’età di tre anni disse a sua madre che sarebbe andato in Italia e avrebbe portato a casa papà su un trattore. Sua madre gli rispose che era coraggioso ma che non poteva farlo, allora Roger le disse che l’avrebbe portato a casa su un bus a due piani.
Roger Waters non conoscerà mai suo padre ma cercherà di arrivare a lui in tutti i modi.
Lo farà sempre: nella sua carriera nei Pink Floyd, da solista e in generale in tutta la sua vita.
Nella musica lo immagina e lo ricorda, gli parla e gli fa domande nelle parole dei sui testi.
Al di fuori della musica sa pochissimo ma nel 2014 per lui arriva una buona notizia:
Harry Shindler, un reduce dell’Operazione Shingle che portò all’annientamento della compagnia Z di Eric Fletcher Waters, grazie a una grande memoria a 92 anni e con l’aiuto di mappe e strumenti militari ha individuato il punto esatto in cui Waters fu ucciso.
Roger Waters ha potuto visitare il luogo preciso in cui suo papà fu colpito, il Fosso della Moletta ad Aprilia, 70 anni dopo.
Nell’occasione ha ascoltato in silenzio la musica dei bersaglieri e mentre si allontanava ha suonato con la tromba Outside The Wall, brano che chiude Il Muro.
Come il suono di un silenzio militare o la chiusura di un sipario, oppure una ferita.
Forse la sua guerra personale era finita.
Riferimenti a Eric Fletcher Waters nelle canzoni dei Pink Floyd
Roger Waters e i Pink Floyd parlano di Eric Fletcher Waters in diversi brani. Te ne dico solo alcuni:
- Free Four – canzone contenuta in Obscured By Clouds del 1972, ha queste parole: You are the Angel of Death / I am the dead man’s son / he was buried like a mole in a foxhole / and everyone’s still on the run…
- Us And Them – in The Dark Side Of The Moon, Forward he cried from the rear / And the front rank died / And the general sat / And the lines on the map / Moved from side to side…
- Another Brick In The Wall (Part 1) – in The Wall, Daddy’s flown across the ocean / Leaving just a memory / Snapshot in the family album / Daddy what else did you leave for me?…
- The Fletcher Momorial Home – The Final Cut, in una splendida musica di orchestra Waters immagina di riunire tutti i potenti governanti del mondo di quel periodo (Reagan, Paisly, Haig, Brezhnev, la Thatcher, mio Dio, soprattutto la Thatcher…lei ce l’aveva in casa) in una casa di riposo che ha il nome del padre, il “Fletcher Memorial Home for Incurable Tyrants and Kings”. E di lasciarli lì, da soli come bambini in castigo a guardarsi notte e giorno in una televisione a circuito chiuso perché possano vedere che (purtroppo) esistono veramente. David Gilmour ci concederà poi uno dei pochi ma bellissimi assoli di chitarra di questo disco.
Dopo aver nominato Brezhnev and party si sente una voce sconosciuta dire la frase “Scusi, dov’è il bar?” in italiano. La risposta si sente pochi secondi dopo, sempre in italiano ma con un marcato accento inglese: “Da questa parte”.
Scusi, dov’è il bar? è urlato da Waters anche in Not Now John, seguito dalle frasi “Se para collo pou eine toe bar?” e “S’il vous plait ou est le bar?” rispettivamente in greco antico e francese.
Il perché di queste frasi è sconosciuto ma si pensa sia collegato all’esperienza in Italia di Eric Fletcher Waters.
La caduta in guerra di suo padre sarà ricordata nel brano When The Tiger Broke Free, incluso nel film The Wall e nella seconda versione di The Final Cut. Nella versione originale non c’era.
Per molto tempo Roger Waters rincorrerà il fantasma di suo padre e lo farà almeno fino a The Final Cut, l’album in cui tutti i suoi fantasmi escono allo scoperto dal muro che aveva costruito nel corso degli anni precedenti.
Ma questo album parla anche di altro.
Retro Copertina
L’immagine di back cover del vinile è un uomo in uniforme con un coltello conficcato nella schiena e un nastro da film sotto il braccio.
L’uomo è di spalle, in piedi su un prato con erba alta e papaveri.
Questa immagine non ha niente a che vedere con il resto dell’album.
L’uomo sarebbe proprio Roger Waters e la foto è un messaggio ad Alan Parker, regista del film The Wall del 1982.
Roger Waters era un genio e un maniaco del controllo in qualsiasi cosa, dentro e fuori la musica.
Il film The Wall era iniziato a otto mani: Roger Waters alla sceneggiatura, il disegnatore Gerald Scarfe, il regista Michael Seresin e Alan Parker nel ruolo di produttore.
Dopo poco tempo la regia passò nelle mani di Parker, che impose subito la sua visione del film.
Immagini crude, colori accesi e uno stile diretto ma simbolico per provocare emozioni e sensazioni forti alle persone che lo guardavano.
Il problema è che lo impose anche a Waters, il creatore di The Wall.
Waters si dimostrò contrario a questo cambio di regia e si ritirò per alcuni mesi in una specie di vacanza forzata, forse il suo modo per dimostrare insofferenza.
Sapeva di essere stato spodestato dal ruolo di protagonista e infatti Parker organizzò presto tutto il lavoro da solo, con l’utilizzo dei pupazzi disegnati da Gerald Scarfe.
Roger Waters si trovò costretto ad accettare buona parte del film senza essere soddisfatto del risultato finale.
E Waters non dimentica.
Il messaggio al veleno nei confronti del tradimento di Alan Parker è l’immagine di retro copertina su TFC.
Gatefold e Vinile
Il gatefold, l’interno della copertina, ha altre tre immagini.
- la prima è una mano aperta con tre papaveri e in lontananza un soldato visto di spalle.
- la foto di un saldatore al lavoro con la sua maschera e la bandiera giapponese del Sol Levante.
- la foto di un’esplosione nucleare.
Le ultime due immagini sono legate a Two Suns In The Sunset, il brano che chiude il disco e che racconta la paura di un conflitto nucleare attraverso la visione di due soli che si incontrano, uno dei quali è la bomba atomica.
Il lato A del disco in vinile mostra ancora alcuni papaveri in un campo. Nel lato B torna l’immagine di un uomo accoltellato, stavolta disteso nello stesso campo. Vicino a lui, un cane.
2. La Colonna Sonora di The Wall
O almeno doveva esserlo.
The Final Cut doveva uscire a metà del 1982 con il lungometraggio The Wall.
Per Waters doveva essere la sua semplice (anche se scomoda) colonna sonora e il titolo Spare Bricks, mattoni di ricambio, rendeva bene l’idea.
Waters aveva preso quattro brani scartati da The Wall:
- One Of The Few
- Your Possibile Pasts
- The Hero’s Return
- The Final Cut
e li aveva riadattati in una sorta di sequel del Muro.
Tra l’altro: Com’è possibile che un brano dalla bellezza di “The Final Cut” sia stato scartato??
Le canzoni erano state scritte nel 1978 e lasciate fuori perché non ritenute all’altezza.
Nel 1982 come nel 1978, David Gilmour continuava a non considerarle all’altezza ed è così che le tensioni con Roger Waters si fanno più pesanti.
Verso la fine
“If these songs weren’t good enough for The Wall, why are they good enough now?”
Roger vuole fare un disco con gli scarti di The Wall, se sono scarti ci sarà un motivo?
Ma Waters va avanti per la sua strada e dice a Gilmour di scrivere nuove canzoni se quelle non andavano bene, sapendo quanto basso era stato il contributo del chitarrista nelle composizioni dei Pink Floyd degli ultimi anni.
Secondo Waters, dopo Dark Side nessuno si era dedicato alla band quanto lui.
Aspettavano tutti il “prolifico ma rompipalle” Roger non solo per i testi ma anche per le musiche, la parte sempre più privilegiata da Gilmour e messa in secondo piano da Waters.
Non c’era da stupirsi quindi se in tutti gli album si sentiva sempre più lo stile di Waters rispetto agli altri.
Si dice che Richard Wright è stato allontanato soprattutto perché non componeva più. Per il suono e i progetti che Waters aveva in mente, Richard era diventato un elemento passivo e inutile.
Nick Mason non si è mai sbilanciato. È sempre stato un discorso tra Waters e Gilmour.
Il chitarrista, alle domande sull’album negli anni seguenti, risponderà che è anche colpa sua se l’album non è venuto bene.
Si sente un po’ in colpa per essere stato pigro, non scrivendo nulla e prendendo tempo quando Waters gli chiedeva se avesse scritto qualcosa.
Dirà che The Final Cut ha tre, quattro pezzi buoni ma che non ricorda assolutamente come si intitolano.
Il tempo e i mesi passano in fretta e arriva al momento in cui l’album è pronto con 12 brani, 4 scartati da The Wall e 8 composti da Roger Waters senza chiedere come e perché.
Anzi no, il perché lo sappiamo.
3. Contro il passato e contro il presente
The Final Cut è un album contro la guerra e contro tutte le guerre.
I Pink Floyd si preparano alle registrazioni in un periodo delicato e molto pesante.
Il 2 aprile 1982 l’Argentina occupa le Isole Falkland, dando inizio alla Guerra delle Falkland contro il Regno Unito, che sotto la guida di Margareth Thatcher risponde subito con una task force per assumerne di nuovo il controllo.
I combattimenti finiscono due mesi dopo. Un migliaio di giovani soldati muoiono per regalare la vittoria al Regno Unito.
La risposta aggressiva del governo inglese è la goccia che fa cambiare idea a Roger Waters su cosa doveva parlare quest’album.
Altro che colonna sonora di The Wall.
Se prima doveva chiamarsi Spare Bricks o Requiem of a Post War Dream, ora si chiamerà The Final Cut e parlerà del rifiuto della guerra e di altri mali del mondo.
Waters si prende altri due mesi per scrivere nuovi brani, spinto dalla rabbia per quello che stava facendo il suo Paese.
Secondo lui la risposta del governo inglese era stata esagerata e non necessaria, sapendo che molte persone sarebbero morte per tutelare interessi politici ed economici.
Tutta politica, insomma.
The Final Cut offre una visione disillusa della situazione politica e sociale del Regno Unito, in cui Waters condanna imperialismo, colonialismo e globalizzazione.
Per un Paese che aveva vissuto la Seconda Guerra mondiale, e per un uomo (Waters) cresciuto nel dopoguerra e senza suo padre, vedersi ora come l’aggressore aveva dell’incredibile.
Maggie, what have we done to England?
Waters attacca profondamente Margaret Thatcher, chiamandola Maggie durante tutto l’album.
Il primo ministro inglese era stato già preso di mira nei versi di Pigs, in Animals, quella volta in modo più sottile, senza fare nomi.
Questa volta Waters nomina il primo ministro e le chiede cosa resta all’Inghilterra dopo la Seconda Guerra Mondiale. Gli strascichi del famoso Post War Dream tanto promesso:
“Maggie, what have we done, what have we done to England?”
Sono le prime parole di The Post War Dream che apre il disco.
The Final Cut è stato criticato dai fans per essere troppo politico.
È vero, è l’album più politico della discografia dei Pink Floyd ma è anche la storia di un uomo che cerca di lasciarsi alle spalle il passato e di conciliarsi con un presente che non gli andava per nulla bene.
Waters si pone una tonnellata di domande mentre compone questo album.
È questo ciò per cui abbiamo lottato? Sarebbe questo il famoso “sogno del dopoguerra” con cui voi, potenti della Terra, ci avete bevuto il cervello?
Waters arriva alla paranoia, le emozioni cresciute in lui nel corso degli anni esplodono quando negli album poteva scrivere qualsiasi cosa voleva.
Collegamenti con gli altri album
The Final Cut è anche il primo disco registrato utilizzando l’olofono, un microfono che riproduce il suono in modo molto simile a com’è percepito dall’orecchio umano.
Un album splendido da ascoltare con le cuffie, visto che l’apparecchio riproduceva un suono tridimensionale e assolutamente innovativo in quegli anni.
L’album ha anche diversi collegamenti al resto della discografia dei Pink Floyd.
The Final Cut
Dial the combination, open the priesthole / And if I’m in I’ll tell you what’s behind the wall
Vista la sua provenienza dal repertorio di The Wall c’è da credere che la sua collocazione fosse tra The Trial e Outside The Wall.
Nella stessa canzone si sente un cane abbaiare in sottofondo, mentre Waters dice queste parole:
…and beat the dogs and cheat the cold electronic eyes…
Probabile riferimento a Dogs, di Animals.
Un minuto dopo c’è una delle frasi più belle dell’album, che si ricollega a The Dark Side Of The Moon:
If I show you my dark side, will you still hold me tonight? And if I open my heart to you
And show you my weak side What would you do?
Verso la fine è udibile il ticchettio di un orologio, o una sveglia, e si sentono voci dall’altra parte di un telefono, tipico marchio di fabbrica di The Wall.
In One Of The Few ritorna l’insegnante già presente in The Wall. Durante la storia verrà fuori che è un reduce dal fronte.
I numeri di The Final Cut
Questo album non è stato un insuccesso, anzi.
Uscito il 21 marzo 1983 nel Regno Unito e il 2 aprile negli Stati Uniti, arriva in vetta alla classifica inglese, impresa che non era riuscita né a The Dark Side Of The Moon né a The Wall.
Nessuno dei singoli però avrà successo, tranne Not Now John, unico pezzo rock e l’unico cantato da Gilmour.
Un disco dei Pink Floyd non poteva non vendere. Mai nella vita.
Dopo due mesi dall’uscita TFC raggiunge un milione di copie negli Usa.
Resta comunque l’album dei Pink Floyd meno venduto negli Stati Uniti dai lontani tempi di Meddle (1971).
E sono pur sempre tre milioni di copie vendute in tutto.
All’uscita di The Final Cut i Pink Floyd non fecero tournèe.
Il livello raggiunto dalle esibizioni e gli effetti speciali messi in mostra nel The Wall Tour rendeva la competizione molto difficile.
Comunque, si pensa che Gilmour e Mason fossero favorevoli a un tour, affascinati dall’idea di esibizioni con uno stile diverso, magari acustico.
Waters però cancellò ogni possibilità di fare concerti su queste canzoni così dannatamente arrabbiate e deluse.
Decise lui, ancora.
Gilmour dichiarò che Waters voleva imporre lo scioglimento della band perché non avevano più niente da dire. David non era d’accordo. Seguiranno litigi, cause sul marchio Pink Floyd, tribunali.
Waters, del resto, ormai ce l’aveva anche con i tour. Disse così negli anni ’70:
Il pubblico e quei concerti enormi si fanno, penso, per amore del successo. Quando una band o una persona divengono degli idoli, può avere a che fare col successo che quella persona manifesta, ma non più necessariamente con la qualità del lavoro che produce. Non diventi un fanatico perché il lavoro di qualcuno è buono, diventi tale perché sei toccato direttamente dalla sua fama e dalla sua attrazione personale. Le star dei film e del rock’n’roll rappresentano in tal senso la vita che tutti noi facciamo. Questi si trovano davvero al centro della loro vita. Ed è questo il motivo per cui le masse spendono anche molti soldi per andare a vederli ad un concerto anche se si trovano a notevole distanza dal palcoscenico, talvolta scomodi, dove anche il suono si sente male.
Forse Roger Waters non aveva tutti i torti.
Forse questo disco ha venduto tre milioni di copie perché sul vinile c’era scritto Pink Floyd.
Per la sua stranezza e complessità resta uno degli album meno venduti e meno famosi.
Eppure è un disco bellissimo.
Bisogna solo avere pazienza e ascoltarlo tutto in una volta ma con calma, per capirlo bisogna capire che Roger Waters l’ha scritto in un periodo di crisi.
La guerra, il fantasma di suo padre, le tensioni con la band, il futuro del Regno Unito sotto Margaret Thatcher, la minaccia della guerra fredda, la paura del nucleare.
Come da lui dichiarato in un’intervista del 1987, durante The Final Cut il gruppo stava capendo che non andava più d’accordo dai tempi di Wish You Were Here e che forse non c’era più alcuna band. Non più.
La fine dei Pink Floyd era vicina, ci vorrà solo un anno e mezzo.
Bellissimo commento, grazie!
Complimentissimi. Ho letto l’articolo su The Wall e lo trovo fantastico per la cura dei particolari con cui rende ancora più profonda la comprensione di questa immane opera rock. Concordo con lei sul fatto che Final cit sia un disco bellissimo da ascoltare rigorosamente in cuffia e dall’inizio alla fine. L’ho fatto decine di volte (centinaia?).
Grazie a lei, 40 anni dopo, ho appreso ancora cose su questi 2 dischi rinnovando l’amore per loro
“E persino ora parte di me vola via
A Dresda agli angeli uno cinque.”
No, Angels One five è “quota 15.000 piedi”, nel gergo dell’aviazione durante la seconda guerra mondiale.
“E persino ora parte di me vola su Dresda a quota 15.000 piedi”. Il bombardamento di Dresda è stato uno degli episodi più dolorosi e atroci dell’intera guerra.
Il protagonista, il maestro, in tempo di guerra volava sui bombardieri, e prima ancora, era “One of the few”, uno dei “pochi” , cioè i piloti che hanno difeso la Gran Bretagna durante la. Battaglia di Inghilterra. Il maestro, insomma, era un eroe di guerra costretto ad una vita grama e piena di rimorsi in tempo di pace.