Se stesse improvvisando anche “lei”?
La mucca è sola, in piedi, con il suo bel muso che guarda incuriosito verso l’obiettivo.
Sta pensando perché lei, per quale motivo Storm Thorgerson decide di fotografare proprio lei per la copertina del quinto album dei Pink Floyd.
Beh, Thorgerson non voleva fotografare proprio lei.
È stato più un incontro casuale, azzeccato. Un colpo di fulmine che a lei di sicuro ha fatto girare la testa e lui, Storm, mente e testa di Hipgnosis Studio, non poteva esimersi, a quel punto.
Poteva solo immortalare il momento con un bellissimo scatto, così squisitamente Pink Floyd, una copertina dove tutto è visibile al contrario della successiva opera di Powell e Thorgerson.
E chi erano, i Pink Floyd, quando è stata scattata questa foto? Di sicuro non la band che conosciamo. Erano quattro ragazzi che imbastivano canzoni per tirare su un album, e quel che viene, viene. Erano l’improvvisazione e l’estro dell’omonima, enorme, suite.
Erano quattro rivoli d’acqua che scorrevano paralleli e vicini e si incontravano in un fiume di creatività con brani come Alan’s Psychedelic Breakfast, cioè un concerto improvvisato mentre un ragazzo fa colazione.
Certi l’hanno battezzata Lulubelle III, ma per tutti è la mucca di Atom Heart Mother.
E’ un bovino di razza Holstein Friesian, se può interessare, ma la curiosità è che Storm Thorgerson quel giorno si è fatto un giro nell’orbita esterna di Londra, nell’Hertfordshire, a Potters Bar, e ha fotografato la prima cosa che ha ritenuto opportuno, visto il senso dell’album che i Pink Floyd stavano per pubblicare.
La loro reazione verso il rock psichedelico di quella fine degli anni ’60 e il loro rifiuto per le definizioni, i titoli e i nomi.
Iniziano le danze. I Pink Floyd però non hanno molta voglia di ballare. Non ancora. Stavano stretti nell’abito che tutta l’industria musicale voleva cucire loro addosso. Oppure, se vogliamo restare nel perimetro della sala da ballo, possiamo dire che le loro scarpe sono di un paio di numeri troppo strette per danzare come vogliono.
La band vuole tagliare ogni filo che non portasse alla musica, nel senso più ampio del termine che puoi immaginare. Vogliono essere solo musica. Nessun genere, nessun stile, nessun’immagine.
Poi le cose cambieranno. Di molto.
È ancora presto ora, comunque, perché nel 1970 i Pink Floyd riescono ancora a essere un band senza possibili definizioni. E questo album è forse l’ultimo di questo “non-genere”.
Già da qui la band mette un piede in un rock più melodico, e squisitamente progressivo. Con Echoes, l’anno successivo, ci entreranno in modo definitivo. E le vendite metteranno un’altra marcia, fino alle successive esplosioni, da The Dark Side Of The Moon in poi.
Atom Heart Mother è l’ultimo album in cui i Pink Floyd improvvisano. E, come dirà David Gilmour parlando (male) di quest’album, nella suite che apre tutto, letteralmente non sapevano cosa fare e dove andare.
Ma la mucca è idea di Thorgerson e non doveva dare nessun’idea a chi guardava la copertina. Non ci dovevano essere appigli per scovare le persone dietro l’album, nessuno scoglio dove aggrapparsi.
Thorgerson ha scattato la foto alla prima mucca che ha visto. Ha preso ispirazione dal primo Cow Wallpaper di Andy Warhol, primo sfondo a tema mucca che l’artista americano aveva pubblicato nel 1966.
Senza pensarci più di tanto. Improvvisando.
L’animale mostra il suo corpo solido e maculato come un mappamondo, con macchie nere per continenti e il bianco al posto degli oceani. È lì, ferma nel suo prato, sotto un cielo azzurro che non dice nulla della stagione ma che rende l’immagine semplice, piena, perfetta.
E in questa posa un po’ comica, un po’ misteriosa, un po’ curiosa, sempre che anche lei stia improvvisando.
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