Silence, please.
É il minuto 22.46 di Meddle quando pianoforte e chitarra acustica continuano a parlottare tra loro, con un cane che abbaia in sottofondo per partecipare all’assolo (o interferire?), in un country blues piacevole ma così distante dai Pink Floyd, un blues che si trascina ancora mezzo minuto e termina con un lungo guaito e gli strumenti che si zittiscono all’unisono, come se non volessero disturbare ciò che sarebbe accaduto da lì a cinque secondi, poi il silenzio e poi…
Ping.
Il suono di un radar sottomarino? O un segnale dallo spazio?
Ping.
Il battito di un cuore ancora in vita sullo schermo di un costoso apparecchio ospedaliero?
Ping.
Il rumore amplificato di una goccia di pioggia che cade nell’oceano?
Il “ping” è una singola nota di Richard Wright con il suo Hammond, amplificata con un Leslie, autoparlante di solito utilizzato con questo pianoforte a coda.
Lì, in mezzo a suoni che sembrano parlarti, c’è anche la slide guitar di David Gilmour. Inizia così la seconda metà e lato B di Meddle, una musica senza dimora e senza collocazione spazio-temporale, lontana melodia di qualcosa che si sta avvicinando, un suono che si ripete per arrivare all’orecchio umano, dove finalmente potrà essere sentito, elaborato, capito, comunicato.
Come un eco.
Echoes sono le parole di un suono. Il suono sta arrivando, in lontananza.
I Pink Floyd stanno arrivando?
Indefinibile Meddle
Non sono innamorato delle definizioni, tanto meno nella musica, ma questa copertina mi conferma che se fossi costretto a trovare un termine da accostare a “Meddle”, quella parola sarebbe “indefinibile”.
La copertina di Meddle ha il dono del mistero e il merito di non avermi mai fatto capire nulla di lei, se non dopo una vita. Quando ho capito è stata la classica pacca sulla fronte per la serie “Ma sì! Ovvio che era quello!”
Ho avuto tante volte questa cover sotto gli occhi (non il vinile tra le mani, né tanto meno il cd) ma non ho mai potuto esaminarla meglio, guardarla da un’altra angolatura, girarla di 90° in senso orario per riconoscerne la sagoma.
Mi sembrava un antro sul fondale di un oceano, una corallo tra le rocce, un grande occhio nero di qualche strana creatura che potremmo trovare in profondità, se ci fosse concesso vedere cosa fa compagnia agli abissi.
La realtà è molto meno lovecraftiana e molto più semplice, anche se siamo nella stessa categoria perché parliamo sempre di un buco, e il buco, per Hipgnosis che creò l’immagine, doveva essere il più classico dei buchi, senza stile e tanti giri di parole.
Storm Thorgerson e Aubrey Powell volevano piazzare l’ano di un babbuino in primo piano, trionfo del subliminale e del politicamente scorretto.
Fortuna che i Pink Floyd dissero di no, non tanto per questioni di stile o eleganza (che ci interessa il giusto) ma perché sarebbe servito un grafico o una descrizione dettagliata sul retro copertina per capire cosa fosse.
I Pink Floyd chiesero qualcosa sott’acqua.
Lo Studio fece la foto a un orecchio subacqueo da distanza ravvicinata, tanto che puoi scambiare questa forma per decine di cose.
L’organo senza il quale non potremmo ascoltare musica raccoglie le onde di suono come minuscole onde d’acqua concentriche. Thorgerson spiegò che il padiglione auricolare rappresenta la musica, in questo caso quella dei Pink Floyd, e le increspature d’acqua sono i disturbi, le intromissioni durante l’atto di sentire.
Le copertine di Hipgnosis riflettono lo stato d’animo del gruppo o dell’artista in quel momento, oltre al contenuto dell’album.
É quindi probabile che Thorgerson avesse ben in mente le interferenze nei confronti dei Pink Floyd che in quegli anni erano alla ricerca ossessiva, a volte sconfusionata, di una propria identità.
E Roger Waters lo confermerà. Era un periodo di grandi pressioni. Se vi ricordate la storia di Atom Heart Mother (la suite), è chiaro che le case discografiche morivano dalla voglia di fare soldi con i Pink Floyd.
I versi scimmieschi dei discografici per spingere il “prodotto Pink Floyd” avevano messo fuori uso Barrett (e arriverà il tempo per ricordare Syd in un album) e con Meddle la storia si ripete. Soprattutto l’americana Capitol urla di volere prodotti, prodotti, prodotti. Canzoni, canzoni, canzoni.
Queste grida isteriche disturbano un disco a tratti debole, secondo Waters, perché frutto della fretta e dell’inutile ricerca della perfezione.
Meddle allora è l’album dove i Pink Floyd battono una strada musicale sicura ma ancora lontana dalla loro vera identità, cosa che verrà fuori con un album abbastanza famoso due anni dopo.
Meddle è ancora improvvisare con un ventilatore puntato in faccia. Non avere un tema centrale e suonare pezzi isolati, ognuno il proprio, senza sapere cosa fanno gli altri tre. E poi ritrovarsi agli Abbey Road Studio e agli Associated Independent Recording e spingere sulla fantasia per creare brani su brani con la casa discografica in pressing continuo.
Componendo canzoni in questo modo a volte vengono fuori meraviglie.
In mezzo a questo mare di interferenze ci sono One Of These Days ed Echoes, i due brani più collaborativi fino a quel momento nella carriera dei Pink Floyd.
Il primo è un vento impetuoso che spazza via tutto con la sua forza e progressione e sembra minacciare proprio i discografici con “Uno di questi giorni ti taglierò a pezzettini” di Nick Mason (che aveva distorto la propria voce anche sulla suite di Atom Heart Mother), ma in realtà si rivolge al cantante Jimmy Young che in radio aveva pubblicamente espresso il suo disprezzo per quel gruppo belante e blaterante.
Bad boy.
Il secondo brano, Echoes, beh…hai un’interpretazione? Credo che ognuno di noi abbia la propria.
Eppure Echoes è la canzone che riassume Meddle, quasi a inglobarlo con la sua maestosità, e forse da questa traccia i Pink Floyd hanno pensato anche alla copertina. Quest’immagine doveva avere qualcosa a che fare con i fondali marini, gli abissi, la profondità sott’acqua, come la prima nota di Wright molto simile a un suono subacqueo.
Perché subacqueo?
Forse perché sott’acqua i suoni sono ovattati, distorti, innaturali.
Un tonfo non è udibile, un boato arriva debole come un’interferenza.
Meddle. Interferenza.
Meddle succede appena un anno dopo l’improvvisazione di Atom Heart Mother e due anni prima di scatenare la macchina commerciale di The Dark Side Of The Moon. E quest’album non è né vicino al primo, né lo puoi accostare al secondo, nemmeno se pensi che durante il Live at Pompei, quando i Pink Floyd raggiungono il cielo con Echoes e One Of These Days, stanno registrando proprio Dark Side.
Meddle è semplicemente lì, nel mezzo, come un’interferenza necessaria. Meddle è un passaggio obbligatorio tra due epoche diverse divise da tre cortissimi anni.
E’ un ponte, perché spiccare un balzo da una roba strana come Atom Heart Mother allo spietato manuale tascabile sulla vita di The Dark Side Of The Moon sarebbe stato troppo difficile, troppo carpiato, troppo pericoloso. Troppo.
Meddle è il taglio più netto dal periodo di Syd Barrett ai Pink Floyd del successo mondiale, del rock progressivo, delle canzoni famose, un taglio che indietro non lascia niente.
Meddle è il primo sforzo di gruppo e il titolo, dirà David Gilmour, è una l’unione di “medal”, lo stemma che indossi dopo aver raggiunto un successo, e “interfere”, perché avevano raggiunto un obiettivo importante nonostante i disturbi esterni.
Una voce calda e melodiosa può giungere artefatta perché il suono incontra sulla sua strada disturbi e interferenze, come Meddle non è ancora la vera voce dei Pink Floyd ma è uno dei loro primi vagiti.
La band si schiarisce la voce e trova finalmente la giusta intensità e la corretta estensione, come se potesse essere sentita anche sott’acqua.
E sott’acqua i suoni sono alieni, fanno parte di un altro mondo.
Anche i Pink Floyd tra poco entreranno a far parte di un altro mondo.
Questo album è l’essenza del mistero quello che poi scopri essere tutt’uno con i tuoi pensieri perchè ti scava dentro e nel mio caso sembra proprio di essere li, insieme a chi queste note le sta componendo e allo stesso tempo ti fa vivere la specialità e la spazialità inetsa come ampie distese laddove ti affacci e vedi con occhi stupiti note di colore che non finiresti mai di ascoltare.
Sublime…perchè non fanno più canzoni così e ci dobbiamo frantumare gli sttributivecla mente CON SFERA E BASTA E SVOMITAZZI SIMILI? Datemi la macchina del tempo per favore!!