La musica è un mago e il suo numero migliore, culmine del suo spettacolo, è il processo che fa nascere un disco in vinile.
Lo conosci? Qualcosa di meraviglioso nell’epoca in cui la musica è un’insignificante successione di bit.
Creare un vinile è una successione di azioni ben precise, delicate e affascinanti, un’evoluzione che inizia con un insieme di suoni e finisce in una copertina.
Ecco, prima c’è un’altra cosa: tutto inizia con un insieme di suoni.
Com’è noto, la meraviglia inizia dopo la fase di missaggio in sala d’incisione.
Dopo aver deciso il formato, quando il suono è registrato e la musica è catturata, abbiamo il primissimo stadio del vinile: il master.
Ma com’è registrato il suono sul disco? E quali sono i parenti più antichi del vinile? Che cosa avevano di diverso da lui?
Per rispondere a queste domande va fatto un giro in super zoom nel solco di un disco in vinile, e vuol dire anche chiedersi come funziona una casa discografica.
È tutto collegato, come le tessere del domino.
Perché il mixaggio “di notevole livello” in sala d’incisione avviene anche per il particolare solco del vinile, e per l’attività degli studi discografici a cavallo di tre secoli.
Fonografo e Grammofono
In principio era il fonografo.
Natale 1877 era alle porte e Thomas Edison regalò ai suoi collaboratori una prova esclusiva della sua nuova invenzione. Avrebbe riprodotto un suono, disse.
Mah. Come ogni più grande invenzione della storia, tutti, a parte Thomas, erano quanto meno scettici.
Si trovavano davanti a una macchina con un piccolo rullo di ottone: dieci centimetri di diametro e altrettanti di lunghezza. Era il cilindro fonografico, coperto di carta stagnola con un solco di un paio di millimetri sulla superficie.
Il fonografo funzionava a registrazione e riproduzione alternata. Prima registravi, poi riproducevi.
Edison provò il fonografo per la prima volta pronunciando la frase “Mary had a little lamb” (celebre filastrocca inglese) mentre girava la manovella che lo metteva in funzione.
La vibrazione data dal suono faceva ruotare il cilindro e la puntina (non ancora simile alla puntina per giradischi), che imprimeva un grafico direttamente nella carta stagnola.
Per la riproduzione del suono, il processo era inverso: si risistemava l’ago al punto di partenza ma su una seconda membrana, molto più elastica della prima.
Altro giro (di manovella) e altra corsa, l’ago sulla seconda membrana seguiva i solchi prodotti nella prima riproducendo lo stesso suono.
Era un suono distorto, sporchissimo e forse incomprensibile, ma ragazzi eravamo nel 1877: era in tutto e per tutto la registrazione dello stesso suono.
Le onde sonore create dal fonografo formavano un vero e proprio grafico: l’onda analogica.
Dieci anni più tardi (1887) si fecero passi avanti con il grammofono di Emil Berliner. Il grammofono sarà usato fino agli anni ’50 inoltrati.
Anche il grammofono, come il fonografo, era uno strumento meccanico che utilizzava lo stesso principio per funzionare ma con i solchi impressi a spirale.
Le Case Discografiche e le Cose da Elvis
Le prime case discografiche: registrazioni meccaniche
Come funzionavano le prime case discografiche?
La New York Phonograph Company fu una delle prime (forse la prima) case discografiche al mondo. La sua attività durò solo 8 anni (dal 1890 al 1898) e cessò per problemi tecnici, finanziari e legali.
Enrico Caruso fu uno dei primissimi cantanti famosi ad abbracciare la nuova tecnologia di registrazione, incidendo sui primi dischi di cera molto spessa per la casa discografica Gramophone & Typewriter Company.
Fu un grande successo, nonostante la scomodità del processo.
Cantanti e musicisti dovevano stare molto vicini tra loro per registrare il suono in un oggetto a forma di campana.
Questo significava riunire una band o un’orchestra in un posto molto piccolo e stretto, perché tutti potessero suonare e, ovviamente, si dovevano sentire tutti gli strumenti. Compresa la voce.
Le vibrazioni dei suoni passavano direttamente nel disco di cera attraverso una membrana, con chiari problemi di bilanciamento del suono e del volume prodotti dai musicisti.
Per non parlare dell’ipotesi che i componenti della band non si piacessero ed erano costretti a restare vicini durante le registrazioni.
Vuoi mettere il disagio?!
Registrazioni Elettriche
Le cose cambiarono negli anni 20, il momento in cui si passò da una registrazione meccanica a una tecnologia elettrica.
C’erano i primi trasduttori, strumenti che trasformano un’energia in un’altra energia (come la testina del giradischi): altoparlanti, microfoni e mixer per amplificare il suono.
Il volume poteva essere modificato, ma c’era il bisogno di spazi molto più grandi per una buona acustica.
Ad ogni modo queste tecnologie erano ok sempre più efficaci con il passare del tempo, ma non permettevano l’editing delle tracce. Il suono era spedito direttamente sul disco e la traccia restava uguale.
Con la registrazione su nastro magnetico, le case discografiche iniziarono a mixare la musica, unendo e combinando diverse tracce registrate in momenti diversi. Erano gli anni 50, il vero e proprio spartiacque della musica per come la conosciamo noi.
Negli anni 60 i tecnici del suono iniziarono a divertirsi davvero, giocando per modificare ancora di più l’esecuzione di un disco grazie agli echi, i riverberi e altri effetti sonori.
Vinili e musicassette hanno dominato la scena musicale fino alla fine degli anni 80, quando sono nati i compact disc prima e gli mp3 dopo, formati digitali composti da numeri tutti uguali tra loro.
La Sun Records di Memphis
Nel 1953 un diciottenne alto, magro e dalla pettinatura impomatata entrò nello studio di registrazione Sun Records di Memphis.
Voleva guadagnare un po’ di soldi per migliorare la sua condizione economica.
Casualmente era venuto a sapere che in quello studio chiunque poteva entrare, sborsare una somma ridicola (circa 4$) e registrare un disco di prova.
Una demo da far ascoltare a parenti e amici sul grammofono di casa.
Era l’occasione d’oro per farsi conoscere.
Il giovane Elvis Presley cercava il proprietario della casa discografica, Sam Phillips. Quando la sua segretaria, Marion Kiesker, gli disse che non c’era e gli chiese che tipo di musica suonava, il molto sincero Elvis rispose candidamente: “I don’t sound like nobody”.
Alla Sun Records ebbe inizio la sua avventura, diventata poi storia e infine leggenda.
Questa breve storia solo per dire che Sun Records di Memphis è uno dei posti più celebri al mondo dove registrare un disco. Alla pari degli Abbey Road Studios di Londra (non solo i Beatles, ma anche i Pink Floyd con Wish You Were Here e molti altri), i Chess Records di Chicago e così tanti che el.
Come registravano un disco?
Nel 1953, quando Elvis entrava ai Sun Records per diventare l’eroe della sua stessa vita, i 33 e 45 giri avevano appena cinque anni, e non avevano ancora battuto la concorrenza dei 78 giri.
Era un fondamentale periodo di transizione. Il vinile era un bambino di cinque anni che prometteva di crescere molto bene.
Infatti, il vinile, nella fabbricazione dei dischi, arrivò nel 1948.
Il solco di un disco in vinile
Solco di un vinile al microscopio (fonte: Pinterest)
Sembrano le misteriose montagne di un pianeta alieno, vero?
Invece è un solco di vinile al microscopio.
L’acetato di vinile era il materiale perfetto su cui incidere cerchi concentrici dove la testina del giradischi, toccando le onde incise sulle pareti, era in grado di trasmettere le vibrazioni e di trasformarle in tensioni elettriche raccolte dell’amplificatore fino a diventare suono.
Il vinile si poteva creare in questo modo perché era più resistente della gommalacca e più durevole della cera impiegati nel fonografo di Edison.
Il disco in vinile andava dritto, a razzo, verso l’alta fedeltà.
Osservando al microscopio un disco in vinile, si notano onde incise con lo stesso andamento delle onde sonore che rappresentano.
I bassi producono e rivelano onde lunghe, mentre gli acuti creano onde molto corte, un po’ come avviene in un oscilloscopio.
L’ampiezza delle onde incise determina l’intensità del suono.
Un vinile è inciso con un solco continuo, che inizia dall’orlo esterno e si sviluppa a spirale verso l’interno.
Il solco del vinile, ondulato e composto di due canali, è abbastanza largo perché la puntina del giradischi possa scorrere in modo irregolare, essendo i canali del solco non rettilinei ma pieni di curve, deviazioni e increspature nelle pareti.
I due canali per la realizzazione in stereo sono incisi nelle due pareti laterali del solco che si aprono con un angolo di 90° in due assi a 45°.
Per questa ragione, la testina del giradischi è formata di due pick-up posti a 45° rispetto all’asse verticale.
Inoltre, la testina non è posizionata in modo perfettamente perpendicolare al solco, nè si muove su, giù o lateralmente.
La testina viaggia libera, segue semplicemente la linea irregolare tracciata dal solco e provoca per questo delle vibrazioni nelle pareti che fanno nascere il suono.
Solchi perfettamente concentrici determinano assenza di suono. Più i solchi deviano rispetto alla parte centrale del solco, più intenso sarà il suono.
Suono per definizione irregolare ma caldo, vero e affascinante come solo un disco in vinile può dare.
Le prime tecniche di incisione si basavano sulla profondità del solco, nel tempo invece si è passati a ridurne lo spessore sfruttando le pareti laterali del solco, divenuto poi microsolco (incisione laterale).
Oggi, i dischi in vinile sono caratterizzati da una profondità del solco costante e da deviazioni all’interno del solco in funzione dell’intensità del suono.
Deviazioni che tuttavia vanno controllate per non invadere le tracce adiacenti e lo spostamento eccessivo della testina di scrittura (incisione) e di lettura (ascolto).
La soluzione è nel sistema di equalizzazione che riduce le ampiezze delle basse frequenze e allo stesso tempo aumenta le ampiezze delle alte frequenze, aumentando il rapporto segnale/rumore, come standardizzato dalla Recording Industry Association of America (RIAA).
In pratica, sarebbe impossibile incidere il solco del disco direttamente con il suono del brano musicale perché le onde delle basse frequenze inciderebbero solchi così grandi da occupare l’intero disco.
Un semplice filtro elettrico composto da resistori e condensatori consente di equalizzare le onde sonore, ovvero di attenuare le basse frequenze ed esaltare le alte frequenze al momento dell’incisione e di applicare il processo contrario durante la fase di riproduzione.
Puntina di un giradischi scorre su un solco di un vinile (fonte: Pinterest)
Cosa ci vuole per registrare un disco?
Ci vuole uno studio di registrazione. Il vinile è solo un supporto, uno dei tanti, per incidere la musica e ascoltarla.
Potresti usare l’mp3, in cui i brani sono bit compressi per avere spazio nella memoria che li deve contenere. Potresti usare il cd, in cui la musica è un po’ più libera, ma solo un po’.
Ok, ma non sceglieresti il supporto migliore, che è senza dubbio il disco in vinile.
La musica, più libera è più bella è.
Lo step precedente al processo di creazione è quindi uguale a tutti i supporti: la musica va registrata e ci vuole uno studio di registrazione.
Oggi le cose sono molto più semplici di una volta.
Con un buon pc (o mac), un microfono di qualità e altre attrezzature di livello adeguato anche tu otterrai un piccolo ma funzionale studio di registrazione a casa.
Ma una volta, quando c’era solo il disco in vinile e la tecnologia non era accessibile come ora, come si faceva? Se volessi aprire una casa discografica, di cosa avresti bisogno?
Prima di tutto avresti bisogno di spazio.
Uno studio di registrazione professionale ha, come minimo:
- una stanza dove i musicisti suonano
- una stanza di controllo con tutto il necessario per registrare, editare e mixare la musica
- stanze isolate dove far suonare gli strumenti che hanno un volume più elevato, come la batteria, per separarli dagli altri
- apparecchi e attrezzature di eccelsa qualità, come mixer, microfoni, sintetizzatori e quant’altro
Ogni stanza di uno studio di registrazione professionale è progettata e costruita per liberare la migliore qualità di suono dagli strumenti musicali e dalla voce.
L’ambiente deve essere protetto e deve avvolgere e catturare ogni suono.
Il celebre Chess Studios di Chicago fu uno dei primi di registrazione a non avere muri paralleli, in modo da consentire alle vibrazioni di muoversi in un certo modo.
Chissà quali altri trucchi ed espedienti hanno pensato per ottenere un suono eccellente da queste stanze?
Magari sarà l’argomento del prossimo articolo.
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