Se hai una bella giornata, se sei felice e di buonumore, non leggere oltre. Sono parole depresse. Ma sto bene. Sono solo sano di niente, grazie Mr. Simpatia.
Tra due mesi saranno trentaquattro.
Trentaquattro anni a respirare e ventiquattro ad ascoltare musica.
Avevo dieci anni quando la musica mi ha scovato con il più classico degli “Ha! Beccato! Dove pensavi di fuggire?”
Rispolverando improbabili doti matematiche, o usando una calcolatrice, fanno 8760 giorni con almeno una canzone che mi è entrata in testa e ha fatto un volo pindarico più o meno lungo, a seconda del brano, tra le sinapsi.
A volte queste musiche sono uscite ai lati con la stessa velocità con cui erano entrate, svanendo (spesso fortunatamente) per sempre. Altre volte hanno continuato in direzione sud-ovest e sono entrate in quella cavità linfatica che batte a tempo per tutta la vita, diventando parte del mio tessuto, ancora una volta per sempre.
Le cellule deputate al fondamentale ruolo di farmi apprezzare la musica hanno nel tempo inglobato un ammasso di generi musicali senza logica apparente. La musica d’autore dello Stivale e il rock progressivo della Terra di Albione, il pop del secondo Dopoguerra e la musica americana tutta e indistinta, l’elettronica in ogni sua forma e le meraviglie del post rock, passando per la classica e rastrellando infine qualsiasi cosa ci fosse per strada.
Le mie cellule musicali sono un plotone di cecchini perennemente in posizione che sparano a vista sui bersagli più appetibili e interessanti.
Ma c’è un genere, tra tutti, su cui ho mancato il bersaglio più e più volte, vuoi perché io non lo capivo, vuoi perché lui non si faceva capire, ma il rap è il genere che segnerebbe uno sconsolato zero sulla mia lista di dischi preferiti se non fosse per Mr. Simpatia, secondo album di Fabri Fibra.
Ma in questo caso il numero di album è inversamente proporzionale alla sua importanza. Mr. Simpatia non è solo il mio album rap preferito per essere l’unico che abbia davvero ascoltato, ma ha onore ed onere di essere uno dei più importanti della mia vita. E anche stavolta, per sempre.
È uno di quegli album (e sono davvero pochi) che ho ascoltato fino a star male, al punto da lasciarlo alla deriva per molti anni perché le emozioni restavano incagliate in ricordi dolorosi.
Recentemente, un amico ha selezionato Momenti No in un programma radio e questo ha riportato a riva il disco e cosa ha rappresentato, a me che non l’avevo dimenticato ma solo legato a una grossa pietra e fatto scivolare negli abissi della mia mente, convinto che potesse dormire nel profondo.
In realtà questo album non stava dormendo e non è cosa del passato, anche se quando ho scoperto Mr. Simpatia ero poco più che adolescente. Un ragazzo miope e pieno di brufoli come chiunque, con almeno un problema esistenziale come palla di piombo legata a una catena troppo corta, un tipo che si illudeva di poter contare su tanti amici ma sapeva che uno dei suoi migliori alleati era lui, Mr. Simpatia, quel ragazzo riverso sul tavolo dopo essersi tirato un colpo di pistola in testa, in copertina.
Ma non lo comprai per la copertina.
Mr. Simpatia lo incontrai in autobus in un giorno d’autunno del 2004.
Eravamo partiti da mezz’ora per andare in gita scolastica. Destinazione Parigi. Le bottiglie di vodka e limoncello passavano di mano sopra e sotto i sedili. Chi limonava era già in coda al bus.
Io, in un sedile verso tre quarti bus nella parte posteriore, ero lì, stravaccato con In The Shadows dei Rasmus nelle cuffiette. Un tizio di nome Patrick decide di farci tornare tutti a casa, accendendosi una canna. Contemporaneamente estrae un lettore cd che sembra la USS Enterprise e mette su questo disco. Io sto già fumando fumo passivo e sono già pronto a telefonare a mia mamma che mi venga a prendere per colpa di un coglione.
Ma le professoresse sono sedute nella parte buona (o cattiva, a seconda dei punti di vista) del bus, cioè davanti, e nonostante l’aria avesse quel sentore pungente di cannabis, l’atmosfera era pregna di Non Fare La Puttana, L’Uomo Nel Mirino, Gonfio Così e Palle Piene e metà bus intonava parolacce e parole al vetriolo seguendo le rime di un rapper che opprime.
Io non l’avevo mai sentito ma tutti conoscevano a memoria questo cocktail psicopatico, lacerante come tappare una ferita con tequila, sale e limone, una voce parla in rima di rapporti sessuali con puttane, di omosessuali, aborti, droga e ragazze che per la loro voglia di attenzione finiranno violentate nel bagno di una stazione. È un rap incazzato ma anche squisitamente ironico, ridicolo e adrenalinico. La sensibilità di questo artista mi arriva prima della crudezza delle parole, parole che sono solo un mezzo per comunicare uno stato d’animo, solo una maschera per nascondere la fragilità.
E sto pensando che non mi dispiace quella musica diretta, sincera. I Rasmus sono ormai eclissati dal volume di Mr. Simpatia, mi tolgo le cuffiette e dopo pochi istanti di silenzio parte una base musicale compassata e ipnotica, e le parole:
Io sto nell’acqua in questa vasca in cui ci butto acceso un phon
Vorrei incontrarti tra cento anni appesa insieme a Ron
Divento aggressivo, se non lo sono imparerò
Nel caso in cui ti vedrò entrare in casa mia ti sparerò
L’inizio di Momenti No è un pugno alla bocca dello stomaco. Per me è stato sì, questo tizio ci ha preso tutti, ci sta prendendo in giro o ci sta prendendo sul serio.
Il testo è una mano ghiacciata che mi afferra la gola e stringe la vena giugulare. Nessuno in memoria aveva detto cose così affilate. Questa rapper sconosciuto ci sta guardando tutti in faccia, noi che non lo conosciamo, e ci sta esponendo i resti dei suoi nervi a pezzi ed espone le sue viscere mostrandoci tutto quello che ha dovuto ingoiare nella vita. È un uomo sbagliato e lercio, zeppo di marcio, eppure mi sento stranamente capito, è come se parlasse con me. Mi guardo intorno, vedo teste appoggiate ai finestrini e capisco che tanti la pensano uguale mentre l’improvvisa percezione della sola voce di Fibra tra i sedili è così limpida da togliere il fiato. Ognuno sta guardando i propri momenti di merda come un a penitenza con il cilicio, e si fa scardinare da parole sincere come l’alcol, per l’estremo sacrificio.
E da questo brano è cominciata la mia storia con Mr Simpatia, l’onda mi ha travolto e trascinato con sé per anni.
Mr Simpatia c’era nelle giornate passate a girovagare in bici per le vie di un paese ottuso e chiuso come le serrande di quella sala giochi, a bere a canna da una bottliga di vodka e facendo fuori una confezione di gelati confezionati da 6, seduti sulle panchine dei giardini pubblici.
Mr Simpatia c’era nel freddo di ottobre sulle stesse panchine a guardare gli alberi spogliarsi, e ogni foglia che cadeva era un piano su come bruciare scuola il giorno dopo.
Mr Simpatia c’era quando, disteso a letto, guardavo un soffitto senza vederlo perché il buio era totale, perché “noi veniamo dal buio ed è lì che torneremo”, e la voce di Fabri Fibra proferiva la stessa litania scurrile e rabbiosa che era uscita da quel lettore cd come una melma nera, tipo Blob, sbrodolante dalle grate di un vicolo abbandonato.
Quante volte mi sono sorretto ascoltando Non Crollo, pensando che se ogni porta futura ti sembra chiusa, basta dare fuoco al passato del corridoio che ti ha portato fin lì. Quante volte con Rap In Vena, io che non ce l’ho nelle corde, per rivedermi nell’ironia di Fabri Fibra, a ridere della sfiga, della solitudine, di ogni cosa per cui valesse la pena di ridere, cioè tutto. Quante volte ad ascoltare Momenti No perché quei momenti erano nome omen, quante volte a fantasticare su ragazze nel labirinto della timidezza, di una passiva inadeguatezza, di una finta aggressività figlia della paura, del casino, dell’abitudine a mediare serialmente tra genitori in un divorzio. E quante volte a piangere senza motivazione con il testo di Mr Simpatia e le bestemmie per darci un tono, per avere amici, per entrare in una cazzo di cerchia di esseri umani simili e sentirsi parte di un ingranaggio sbagliato in una società manipolatoria, parimenti sbagliata, finta, senza progetti concreti e con poche, chirurgiche, decisioni sbagliate. E capire che, dopo tutto, la vita è una manciata di persone e cose con un valore che ti aiutano a leggere le poche pagine utili di questo libro e strappare tutto il reso, a morsi, con la musica che è deus et machina, lei essenza della vita stessa, motivo sufficiente perché valga sempre la pena di continuare a respirare, per ascoltare ancora una volta certi album.
Restando vivi. Restando con la testa fuori dall’acqua. E questo è il motivo per cui non mollo.
stessa esperienza artista diverso. quando ho conosciuto caparezza una decina di anni fà ho passato mesi ad ascoltarlo in loop. al momento la mia preferita quella che mi legge dentro (anche se sono alle soglie dei 60 anni) è “la chiave” dall’album prisoner709. è uno dei pochi che compro i vinili a scatola chiusa in prevendita.